Negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che sia necessario mangiare alimenti a basso indice glicemico per mantenere un buono stato di salute e addirittura per dimagrire. A conferma di ciò, il crescente aumento delle diete a basso indice glicemico.
Ma come stanno realmente le cose?
Partiamo dalla definizione di Indice Glicemico.
L’indice glicemico (IG) è un valore che si riferisce alla velocità con cui i carboidrati contenuti in un alimento si riversano nel sangue, misura il potere glicemizzante, ossia la capacità di un alimento di liberare glucosio dopo la digestione.
Con il termine glicemia si indica proprio la concentrazione di glucosio nel sangue, glucosio che viene utilizzato dalle cellule come principale fonte energetica. Il glucosio presente all’interno dell’organismo può essere prodotto a partire dai carboidrati e, in misura minore, anche dai grassi e dalle proteine ( gluconeogenesi ).
Ogni volta che mangiamo, la glicemia si alza. Il corpo umano possiede un sistema di regolazione intrinseco che consente di controllare i livelli di glucosio durante l’arco della giornata.
La regolazione della glicemia avviene ad opera di ormoni iperglicemizzanti, che innalzano la glicemia e ormoni ipoglicemizzanti, che abbassano la glicemia.
Uno degli ormoni più importanti nella regolazione della glicemia è l’insulina. Si tratta di un ormone ipoglicemizzante secreto dalle cellule beta all’interno delle isole di Langherhans del pancreas. L’azione insulinica si esplica attraverso processi metabolici e cellulari che hanno lo scopo di abbassare i livelli di glucosio nel sangue, per consentire il corretto funzionamento delle nostre cellule. E’ importante, quindi, che i livelli di insulina siano regolati e costanti durante l’arco di tutta la giornata.
Ma il nostro corpo non riesce sempre a regolare i livelli di insulina…
Un cattivo stile di vita ed abitudini alimentari errate possono portare il nostro organismo allo sviluppo di insulino-resistenza. Si tratta di una condizione per la quale i tessuti del nostro corpo non sono più in grado di rispondere efficacemente all’insulina, anche se essa risulta essere presente in quantità elevate. Se l’insulino-resistenza viene trascurata può portare a sviluppare problematiche più gravi a partire dal diabete, ma anche ipertensione, livelli elevati di colesterolo LDL e trigliceridi, che vanno ad aumentare il rischio di patologie cardiovascolari ecc…
Si parla di diabete quando il pancreas non produce una quantità sufficiente di insulina a causa della distruzione delle cellule beta da parte del nostro stesso sistema immunitario (diabete di tipo 1), oppure quando le cellule dell’organismo non rispondono adeguatamente alla sua presenza. oppure l’insulina non agisce in maniera adeguata (diabete di tipo 2). In entrambe le condizioni, nel sangue si avranno livelli di glucosio più alti del normale (iperglicemia).
Il perché dell’indice glicemico
Da tutto ciò è nata la necessità di controllare la risposta glicemica dell’organismo agli alimenti.
Per lungo tempo si è creduto che tutti i carboidrati provocassero una risposta glicemica identica. A partire dalla metà degli anni ’70, il dr. Crapo, un ricercatore californiano dell’Università di Standford, ha dimostrato che a parità di carboidrati, ogni alimento può provocare un diverso innalzamento della glicemia.
C’era la necessità, quindi, di misurare il potere iperglicemizzante dei vari alimenti al fine di poterli confrontare fra loro. E fu Jenkins a farsi carico di questo compito nel 1981. Tutto si basava sulla valutazione della curva della risposta glicemica, dalla quale vennero costruiti gli indici glicemici degli alimenti comparandoli con quello derivato dall’assunzione di 50g glucosio, al quale venne dato il valore di 100.
Dire che un alimento ha un elevato indice glicemico (70-100) equivale a dire che l’assorbimento dei carboidrati in esso contenuti provocherà una risposta glicemica alta, al contrario dire che un alimento ha basso indice glicemico (<55) significa che l’assorbimento dei carboidrati in esso contenuti provocherà una risposta glicemica bassa.
Se ci basassimo esclusivamente su queste informazioni, l’intuito ci suggerirebbe che è sufficiente evitare alimenti ad alto indice glicemico per tenere a bada la glicemia ed essere in salute e magari dimagrire.
Ma siamo davvero sicuri che “a basso indice glicemico” significhi “salutare”?
Facciamo un esempio:
Le carote cotte hanno un indice glicemico alto, pari a 85.
Il ketchup ha un indice glicemico basso, pari a 55.
Questo cosa significa?
Per stare bene dobbiamo riempirci la pancia di ketchup e considerare le carote veleno?
No, le cose non stanno così. C’è la convinzione che l’indice glicemico confronti le stesse quantità di alimenti ma in realtà confronta quantità uguali di carboidrati.
Proviamo a fare chiarezza. Consideriamo 100g di carote bollite e 100g di ketchup. Le carote contengono 8.22g di carboidrati, di cui 3.45g sono zuccheri. Il ketchup contiene 25g di carboidrati, di cui 23g sono zuccheri, molti di più delle carote.
Perché le carote hanno un indice glicemico più alto?
Siccome l’indice glicemico confronta quantità uguali di carboidrati, possiamo dire che le carote hanno un indice glicemico alto se ne assumiamo 1500g. Perché? Abbiamo detto che l’indice glicemico degli alimenti si ricava tenendo conto che quello di 50g di zucchero è posto uguale a 100. Quindi, 1500g è la quantità di carote necessaria a raggiungere circa 50g di glucidi. Insomma, non parliamo di quantità banali. Se confrontiamo 50g di glucidi contenuti nelle carote cotte (circa 1500g) con 50g di glucidi presenti nello zucchero (50g) otterremo i corrispettivi indici glicemici.
Inoltre, è importante dire che l’indice glicemico si riferisce all’alimento puro. Ad esempio, l’indice glicemico delle carote crude è 35, quello delle carote cotte è 85, perché hanno subito un processo di trasformazione. Infatti, ad eccezione dei carboidrati puri (come glucosio, fruttosio, saccarosio, galattosio, lattosio…), gli alimenti sono composti solo in parte da carboidrati e sono soggetti ad un’estrema variabilità che va ad modificarne l’indice glicemico. Fattori che possono causare variabilità sono: il grado di maturazione dell’alimento, il tipo e il tempo di cottura, l’idratazione, la raffinazione, il luogo dove viene coltivati, la presenza di proteine e grassi e anche l’associazione con altri alimenti…
E’ bene quindi valutare correttamente le nostre scelte prima di demonizzare qualsiasi tipo di alimento.
L’importanza dell’indice glicemico
L’indice glicemico è un valore importante per chi è affetto diabete. Seguire una dieta tenendo sotto controllo l’indice glicemico degli alimenti, ci consente un migliore controllo della glicemia, evitando rapidi innalzamenti della stessa. Inoltre, gli alimenti a IG più basso (verdure, legumi…) danno un maggior senso di sazietà che ci aiuta a gestire la fame, evitando eccessi calorici. Anche gli sportivi possono beneficiare del controllo dell’indice glicemico, al fine di migliorare la performance, e non è da escluderne l’importanza in caso di ovaio micropolicistico.
Cos’è il carico glicemico?
In questo caso, ci aiuta un altro valore chiamato “carico glicemico”, il quale serve proprio a valutare l’effetto di un alimento sulla glicemia in base alla quantità effettivamente consumata. Il carico glicemico, quindi, valuta da un punto di vista glucidico le stesse quantità di alimenti.
Riprendendo l’esempio precedente, se volessimo consumare 100g di carote cotte e 100g di ketchup, avremo un carico glicemico di 3 per le carote e un carico glicemico di 12.5 per il ketchup. Una differenza sostanziale, non credete?
E l’indice insulinico?
Un altro indice di cui spesso si sente parlare è l’indice insulinico, il quale misura l’impatto di un cibo direttamente sull’insulinemia, che rappresenta la concentrazione di insulina nel sangue.
In realtà, la produzione di insulina nel nostro corpo non è sempre correlata alla risposta glicemica, in quanto ci sono altri fattori che ne stimolano il rilascio. Ad esempio, cibi prettamente proteici o grassi, anche quando non contengono carboidrati, provocano un rilascio di insulina, nonostante il rilascio di glucosio nel sangue risulti nullo.
Questo è il motivo per cui eliminare i carboidrati dalla dieta, con l’unico scopo di controllare il carico glicemico degli alimenti, o dimagrire, può essere controproducente. Infatti, il nostro corpo ha comunque bisogno di glucosio, che abbiamo detto essere la sua principale fonte energetica e, riducendone fortemente l’assunzione, potremmo mandarlo in allerta. Di conseguenza, il nostro cervello ci chiederà cibo di continuo ed avremo un minor controllo della fame che potrebbe condurci verso abbuffate poco salutari. Inoltre, la presenza di insulina in assenza di glucosio nel sangue potrebbe far scendere troppo la glicemia provocando uno stato di stanchezza, affaticamento fisico e mentale. Ciò comprometterebbe lo svolgimento delle più semplici attività che fanno parte della nostra routine quotidiana.
In conclusione, mi preme sottolineare che:
- Indice glicemico, insulinemico e carico glicemico sono ottimi alleati per il controllo della risposta del nostro organismo alla nostra dieta.
- Si tratta di indici utilissimi, soprattutto in caso di patologie come, ad esempio, il diabete e l’ovaio policistico.
- In assenza di patologie, basare la propria dieta esclusivamente su alimenti a basso indice glicemico a discapito di tutti gli altri è scorretto. Si tratta di indici relativi, che nulla ci dicono sulla salubrità degli alimenti che consumiamo.
- E’ importante, per la nostra salute, concentrarsi sulla qualità degli alimenti, prediligendo quelli naturali, non confezionati, senza zuccheri aggiunti.
- La nostra dieta deve essere bilanciata e personalizzata in base al nostro fabbisogno energetico e in base alla presenza o meno di patologie. Scelte arbitrarie che prevedono l’eliminazione di un alimento o, peggio, di un’intera classe di macronutrienti possono essere dannose per il nostro organismo.
Ah, dimenticavo…
Se volete dimagrire, potete cuocere le carote ma magari
non mangiatene un chilo e mezzo.