Ebbene, sono numerosissimi gli studi scientifici che evidenziano questo legame.
Ma andiamo per gradi…
L’insulina è un ormone fondamentale perché regola la quantità di glucosio nel sangue e il suo utilizzo da parte delle cellule per i processi energetici.
E’ secreto dalle cellule beta all’interno delle isole di Langherhans del pancreas ed entra in gioco quando il livello di glicemia, che è la concentrazione di glucosio nel sangue, è troppo alto e agisce attraverso diversi processi metabolici e cellulari al fine di abbassarlo.
Nonostante ciò, esistono delle condizioni per le quali la produzione dell’insulina non è sufficiente o ancora condizioni per le quali le cellule dell’organismo non rispondono alla sua presenza, ciò comporta livelli di glucosio nel sangue più alti del normale (iperglicemia), condizione che, se perpetuata nel tempo, potrebbe portare alla comparsa del diabete.
Si parla di diabete di tipo 1 quando ci troviamo in presenza di un processo autoimmune per il quale vengono distrutte le cellule beta del pancreas, le quali non riusciranno, quindi, a produrre una sufficiente quantità di insulina; si parla, invece, di diabete di tipo 2 quando non viene prodotta una quantità sufficiente di insulina a soddisfare le necessità dell’organismo (deficit di secrezione di insulina), oppure nel caso in cui l’insulina prodotta non agisce in maniera soddisfacente (insulino resistenza).
Ed è proprio sull’insulino resistenza che ci soffermeremo. Abbiamo detto che si tratta di una condizione per la quale anche se abbiamo abbondante insulina in circolo, i tessuti del nostro corpo non sono più in grado di risponderle efficacemente. Ciò, attraverso svariati e complessi meccanismi, può condurci a sviluppare diverse problematiche, come dislipidemie con elevati livelli di colesterolo LDL e trigliceridi, predisporci, quindi, a patologie cardiovascolari, ipertensione, alterazioni della coagulazione, obesità, diabete, acne post-adolescenziale, senso di stanchezza ed astenia, abbuffate compulsive, depressione ecc… E’ bene però precisare che alla base del diabete di tipo 2 non c’è comunque solo l’insulino resistenza, ma anche l’aumento della lipolisi causato dal tessuto adiposo, o l’eccessiva produzione di glucagone da parte delle cellule alfa o, ancora, un aumento del riassorbimento tubulare del glucosio da parte del rene.
Ancora una volta entrano in gioco le abitudini sbagliate, uno stile di vita errato caratterizzato, ad esempio, da eccessivo introito calorico e da scarsa o inadeguata attività fisica, nuoce al corretto funzionamento e alla salute del nostro organismo. Basti pensare che un aumento dei trigliceridi porta alla formazione di adipociti voluminosi che risultano resistenti all’effetto antilipolitico dell’insulina e che, quindi, rilasciano grandi quantità di acidi grassi liberi, oltre a contribuire all’ aumento delle LDL ossidate e a ridurre i livelli di HDL. Gli adipociti, inoltre, producono adipocitochine in grado di raggiungere vari distretti dell’organismo (muscolo, fegato e arterie), dove esercitano effetti deleteri sul metabolismo e sulla funzione vascolare.
Ma cosa c’entra l’infiammazione?
“L’infiammazione è un meccanismo di difesa non specifico innato, che costituisce una risposta protettiva, seguente all’azione dannosa di agenti fisici, chimici o biologici, il cui obiettivo finale è l’eliminazione della causa iniziale di danno, e l’avvio del processo riparativo”.
La risposta infiammatoria, quindi, si instaura a seguito di innumerevoli stimoli: può trattarsi di un taglio sulla pelle, una bruciatura, un’infezione, una puntura di insetto o ancora stile di vita sregolato…
L’infiammazione è un evento positivo, poiché è un processo che consente al corpo di difendersi dalla causa che l’ha scatenata e guarire.
Il discorso cambia quando l’infiammazione si fa cronica, ovvero quando la causa dell’infiammazione stessa persiste e non riesce ad essere rimossa.
L’infiammazione è uno dei meccanismi cruciali nello sviluppo dell’insulino resistenza associata a malattie metaboliche, infatti è stato dimostrato che un eccessivo deposito di tessuto adiposo, specie nel distretto viscerale provoca un rilascio di citochine infiammatorie (IL-6, TNFα), e che gli acidi grassi liberi possono attivare pathways pro-infiammatori, portando, appunto, allo sviluppo dell’insulino resistenza.
Quali sono i meccanismi attraverso i quali l’infiammazione induce l’insulino resistenza?
I meccanismi non sono pochi, in questa sede ne analizzeremo alcuni:
– LIPOTOSSICITÀ: è l’effetto che produce l‘accumulo di grasso sul metabolismo glucidico, correlato all’accumulo di metaboliti lipidi tossici che sembrano appunto svolgere un ruolo importante nella patogenesi dell’insulino resistenza muscolare ed epatica.
Quando assumiamo una quantità eccessiva di grassi con la dieta essi si trasformano in acidi grassi liberi nel sangue e raggiungono i diversi organi coinvolti nel metabolismo del glucosio, alterandone le funzioni. Così, se i livelli di acidi grassi nel sangue sono elevati e lo restano a lungo, si possono verificare danni a carico delle cellule beta e alfa pancreatiche, preziosissime perché secernono rispettivamente insulina e glucagone, due ormoni fondamentali per il controllo dei livelli di glicemia.
I grassi in eccesso possono inoltre accumularsi anche nel fegato portando a una condizione denominata ‘fegato grasso’, la quale prevede nel tempo il danneggiamento delle cellule epatiche (epatotossicità).
Infine, un livello cronicamente elevato di acidi grassi nel sangue, interferisce in molti processi metabolici: può causare morte delle cellule muscolari cardiache, insulino-resistenza a livello dei tessuti periferici e alterazioni funzionali a carico delle cellule della muscolatura liscia (endotelio) che ricopre i vasi sanguigni.
Quindi, il tessuto adiposo, in quantità normale, ha una scarsissima azione pro-infiammatoria che ha il compito di sostenerne la funzione e mantenere la sensibilità insulinica. Quando gli adipociti aumentano iniziano a secernere vari fattori chemiottattici che alimentano il processo infiammatorio, ampliato dal rilascio di acidi grassi liberi. Ciò che ne consegue è la produzione di citochine tra cui IL-6 e TNFα che interferiscono con la normale trasmissione del segnale insulinico favorendo l’insorgenza dell’insulino resistenza, del diabete e propagando lo stato di infiammazione cronica.
– STRESS DEL RETICOLO ENDOPLASMATICO: Anche il Reticolo Endoplasmatico sembra esser coinvolto nella risposta infiammatoria, sembrerebbe infatti che a seguito di determinati stimoli ne favorisca l’attivazione. L’aumento di adiposità nei soggetti obesi sovraccarica infatti la capacità funzionale del reticolo endoplasmatico, creando una condizione di stress. Il conseguente accumulo di proteine non ripiegate o mal ripiegate comporta l’attivazione di una risposta denominata UPR (unfolded protein response), che ha lo scopo di ristabilire l’integrità funzionale dell’organello. Se il difetto di folding proteico non è risolto, si ha un’attivazione cronica di UPR, la quale induce l’apoptosi. Inoltre lo stress del reticolo è coinvolto nell’induzione d’insulino resistenza, tramite l’attivazione di JNK e IKK-β, l’induzione di TRB-3 e la produzione di ROS (specie di ossigeno reattive). A sua volta lo stress ossidativo può ulteriormente indurre l’UPR.
– STRESS OSSIDATIVO: In fase prediabetica l’incremento degli acidi grassi liberi associato all’obesità induce stress ossidativo a causa dell’aumentata attività mitocondriale (aumentato disaccoppiamento mitocondriale e beta ossidazione), la quale induce la produzione di ROS. Inoltre in seguito all’insorgenza del diabete, l’iperglicemia è di per sé un attivatore di stress ossidativo. Anche il TNFα sembra avere un effetto nell’induzione dei ROS, che a loro volta stimolano la produzione di tale citochina. Le serin/treonin-chinasi JNK, p38MAPK e IKK-β sono degli induttori di insulino resistenza, la cui attivazione è stata associata con lo stress ossidativo. La via specifica attivata può dipendere dall’intensità di tale stress, dal tipo di ROS, dal tipo di cellula e da altri fattori. Inoltre si è visto che la cellula beta pancreatica è particolarmente sensibile al danno da ROS perché povera di enzimi antiossidanti, in grado di contrastare l’azione dei radicali liberi. I ROS possono anche danneggiare indirettamente la cellula attraverso una serie di vie di segnale intracellulare sensibili allo stress, tra cui NF-kB, p38MAPK, PKC…
– DISFUNZIONI MITOCONDRIALI: In soggetti obesi e/o affetti da diabete di tipo 2 c’è una ridotta espressione di PGC-1 e NRF-1 nel muscolo scheletrico, alla quale è associata una diminuzione nell’ossidazione degli acidi grassi e nella biogenesi mitocondriale. Tale fenomeno può essere correlato ad una ridotta attività fisica, ad una dieta ricca di grassi, così come a mutazioni nel DNA mitocondriale (mtDNA) correlate all’invecchiamento o ancora ad un polimorfismo genetico di PGC-1. Il ridotto catabolismo degli acidi grassi liberi in associazione ad una eccessivo introito calorico, causa un accumulo di grassi all’interno dei miociti. Quindi anche una disfunzione dei mitocondri, tramite l’accumulo di acidi grassi liberi, può contribuire all’insulino-resistenza.
– ALTRI MEDIATORI DI INFIAMMAZIONE: Oltre ai pathway dipendenti dalle serin/treonin chinasi, ci sono altri fattori che contribuiscono all’insulino-resistenza indotta da infiammazione. Per esempio, almeno 3 membri della famiglia di SOCS (soppressor of cytokine signalling), SOCS-1, -3 e -6, sono coinvolti nell’inibizione della fosforilazione in tirosina di IRS-1 e -2 o nella loro degradazione proteasomale. Inoltre SOCS-1 e -3 possono essere correlate all’insorgenza d’insulino resistenza in quanto attivatori di SREBP-1c. Una vasta gamma di citochine, incluso il TNFα e IL-1β, induce l’espressione di una o più SOCS in maniera tessutospecifica. La stimolazione di citochine infiammatorie può anche causare l’induzione di iNOS e quindi la sovraproduzione di ossido nitrico (NO), coinvolta nell’inibizione sia dell’azione insulinica nel muscolo che della funzionalità delle β-cellule nel pancreas. Inoltre la sovraespressione di iNOS nel fegato è stata correlata all’insorgenza di disfunzioni mitocondriali.
Arriviamo al dunque! L’alimentazione che ruolo ha?
L’alimentazione può influire sull’infiammazione in quanto alcuni dei mediatori coinvolti (prostaglandine, leucotrieni, citochine) vengono prodotti a partire da sostanze introdotte con la dieta, inoltre, ci aiuta ad aumentare la protezione dai radicali liberi perché ci permette di integrare antinfiammatori vegetali (come flavonoidi e vitamina C) e di rafforzare le nostre stesse difese antiossidanti. Inoltre, è risaputo che l’alimentazione influenza la produzione di ormoni, come insulina e cortisolo, i quali sono coinvolti nello stato infiammatorio.
Una dieta antinfiammatoria bilanciata può, quindi, aiutarci a ridurre lo stress ossidativo mitocondriale e stimolare il fegato ripulirsi dai rifiuti metabolici, modulare il rilascio dei mediatori dell’infiammazione (quali prostaglandine, leucotrieni, citochine ecc.); inibire l’azione dei radicali liberi, modulare la risposta ormonale in grado di agire sull’infiammazione, favorire la perdita di peso. Scegliere di perdere peso con una dieta antinfiammatoria significa, non solo, prevenire l’insorgenza di patologie, ma anche mantenere la perdita di peso nel tempo perché viene ripristinato il corretto funzionamento del nostro organismo e la corretta risposta agli stimoli che gli si presentano.
Una dieta antinfiammatoria si costruisce puntando sulla riduzione dell’assunzione di alimenti pro-infiammatori e sull’aumento alimenti anti-infiammatori.
Tra gli alimenti antinfiammatori è importante puntare su:
– OMEGA 3 (ω3)
In una dieta antinfiammatoria, aumentare il consumo di omega 3 sbilanciando notevolmente il rapporto ω6/ω3 significa favorire la produzione di prostaglandine e leucotrieni a sostegno delle reazioni antinfiammatorie.
I cibi di cui è necessario ridurre il consumo e che contengono Omega 6 (ω6) sono: margarine, oli vegetali, olio di girasole, olio di mais, olio di soia, parti grassi animali e pesci allevati (salmone, cozze, vongole, ma anche spigole, orate, saraghi, trote…)
I grassi omega 3 sono presenti sia in alimenti di origine vegetale, sia in alimenti di origine animale. Tali acidi grassi sono costituiti da vari gruppi: acido α-linolenico (ALA), presente soprattutto nei vegetali, acido eicosapentaenoico (EPA), e acido docosaesaenoico (DHA), contenuti nelle fonti animali, in particolare nei pesci oleosi o grassi. Il nostro corpo è in grado di produrre gli EPA e DHA partendo dall’ALA. I cibi di origine vegetale più ricchi di omega 3 (ALA) sono: alghe, noci, zucca, germogli di soia, semi di chia, semi di canapa semi di lino e olio di semi di lino, spinaci, lattuga, rucola, tuberi, cavoletti di Bruxelles e cavolfiore verde. Per quanto riguarda i grassi animali, bisogna assicurarsi che NON siano stati cresciuti in allevamenti intensivi e preferire pesce pescato in mare o proveniente da allevamenti in gabbie marine, e consumare principalmente pesce azzurro (branzini, sogliole, sarde, acciughe, sgombri…). Inoltre è bene sapere che il consumo frequente di pesce non corrisponde ad un aumento degli omega 3 assunti, si tratta di grassi termolabili, quindi è preferibile consumare, di tanto in tanto pesce crudo, assicurandosi che sia stato abbattuto.
– FRUTTA, VERDURA, ORTAGGI
Dovrebbero essere presenti quotidianamente in una dieta antinfiammatoria. Preferite sempre quelli di stagione e assicuratevi che siano locali e biologici. Infatti, se coltivati senza l’uso di pesticidi, rappresentano una miniera di antiossidanti e inoltre forniscono al nostro organismo cofattori vitaminici e minerali utili alla produzione dei nostri stessi antiossidanti.
– CEREALI INTEGRALI
Frumento, farro, orzo, segale e avena con riso, mais, grano saraceno, quinoa, amaranto e miglio, se correttamente bilanciati nel piano nutrizionale, possono aiutarci ad avere maggiore stabilità glicemica e insulinemica, inoltre potrebbero essere utili a ripristinare il corretto transito intestinale.
– LEGUMI
Ceci, lenticchie, fagioli, piselli, lupini ma anche soia rappresentano le cosiddette proteine vegetali, da preferire quotidianamente alle proteine animali (carne, affettati, salumi, latte, formaggi, pesce)
– TÉ VERDE è ricchissimo di epigallocatechine antiossidanti, meglio se in foglie e non in bustine.
– CIOCCOLATO FONDENTE
Ricco di antiossidanti, ma deve essere fondente almeno al 70%, molto spesso il cioccolato in vendita è lavorato con alcali che ne diminuiscono le proprietà benefiche.
– SPEZIE ED ERBE AROMATICHE
Sono un valido supporto antiossidante da usare in cucina, anche in sostituzione al sale (che andrebbe ridotto notevolmente). Per le erbe aromatiche alternare quelle fresche da vaso a quelle. Per le spezie evitate di acquistare quelle sfuse perché non si hanno garanzie di contaminazione.
Altri consigli:
– Assicuratevi di avere sempre nella vostra dieta un buon apporto di ferro, zinco, vitamina C, vitamina B12, folati e vitamina D, sono tutti cofattori della produzione di antiossidanti endogeni.
– Limitate il consumo di cibi confezionati, elaborati e che innalzino troppo il picco glicemico (biscotti, dolci, caramelle, prodotti da forno…), ma cercate anche di evitare i cibi industriali, ricchi di grassi saturi, zuccheri, sale, additivi, coloranti, dolcificanti, esaltatori di sapidità ecc., cibi di bassa qualità con alto potere infiammatorio. Preferite sempre e comunque alimenti stagionali, coltivati o allevati secondo natura, ad alimenti conservati (affettati, insaccati, sottaceti e sottoli, salmone in busta, tonno in scatola…).
Escludete alimenti che, notoriamente, sono in grado di provocarvi fastidi come prurito, sfoghi dermici, gonfiore, irregolarità intestinale. Possono esserne un esempio le Solanacee (pomodori, peperoni, patate, peperoncino, melanzane…) e gli alimenti Istamino-liberatori (funghi, spinaci, agrumi, fragole, formaggi stagionati o erborinati, affettati, tonno conservato, aringhe, acciughe, sarde, cacao, cioccolato, vino e alcolici, frutta secca, alimenti integrali, ananas, papaya, mango).
Per avere indicazioni corrette su come strutturare un piano nutrizionale funzionale e personalizzato, affidatevi sempre ai professionisti del settore.
FONTI:
– Infiammazione sistemica ed insulino resistenza
Anna Solini, Edoardo Vitolo, Mario Luca Morieri, Giovanni Zuliani
– Anti-Inflammatory Diet in Clinical Practice: A Review
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– Documento Società Italiana Diabetologia (SID), maggio 2018
– Infiammazione, insulino-resistenza e disfunzione endoteliale: un crocevia pericoloso
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